martedì 27 febbraio 2018

EASY PUMPKIN AND CHEESE


In memoria di Barbara Pivetta

Wonder Pot, ossia, la pentola delle meraviglie è l'argomento del mese di febbraio per il Club del 27. La scelta doveva essere fatta tra 36 ricette tratte dall'omonima raccolta di Food and Garden.
Ne avevo prese in considerazione una decina e questa non era contemplata.
Ho fatto vedere il mio elenco alla Manu con le relative fotografie e lei ha cominciato: "Questa no! Questa no! Questa forse! ..." e via così quando poi ha visto la foto di questa ricetta e mi ha detto subito "Questa sì".
Alla fine, come sempre l'ho accontentata anche perché comunque cucino principalmente per noi due.

Questa ricetta prende spunto dalla salsa della versione americana dalle fettuccine di Alfredo, famose in tutto il mondo ed in particolare negli Stati Uniti dove nel condimento viene aggiunta la heavy cream, una panna con un contenuto di grasso superiore a quelle in commercio in Italia.
Gli statunitensi vanno pazzi per questa salsa che utilizzano anche nei mega sandwich o come accompagnamento alla carne, pollo in particolare.


Le origini delle fettuccine di Alfredo risalgono ai primi del novecento a Roma e ne riporto la storia raccontata dal nipote in un commento alla ricetta pubblicata sul sito del Cucchiaio di Argento.

Alfredo Di Lelio, nato nel settembre del 1883 a Roma in Vicolo Santa Maria in Trastevere, cominciò a lavorare fin da ragazzo nella piccola trattoria aperta da sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi).
Il 1908 fu un anno indimenticabile per Alfredo Di Lelio; naque, infatti, suo figlio Armando e videro contemporaneamente la luce in tale trattoria di Piazza Rosa le sue "fettuccine" divenute poi famose in tutto il mondo. Questa trattoria è "the birthplace of fettuccine all'Alfredo".
Alfedo Di Lelio inventò le sue "fettuccine" per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie (e mia nonna) Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito (mio padre Armando). Il piatto delle "fettuccine" su un successo familiare prima ancora di diventare il piatto che rese noto e popolare Alfredo Di Lelio, personaggio con "i baffi all'Umberto" ed i calli alle mani a forza di mischiare le sue "fettuccine" davanti ai clienti sempre più numerosi.
Nel 1914, a seguito di chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa dovuta alla costruzione della Galleria Colonna, Alfredo Di Lelio decide di trasferirsi in un locale in una via del centro di Roma (Via della Scrofa), ove aprì il suo primo ristorante che gestì fino al 1943, per poi cedere l'attività a terzi estranei alla sua famiglia.
Ma l'assenza dalla scena gastronomica di Alfredo Di Lelio fu del tutto transitoria. Infatti nel 1950 riprese il controllo della sua tradizione familiare ed aprì, insieme al figlio Armando, il ristorante "Il Vero Alfredo" (noto all'estero anche come "Alfredo di Roma") in Piazza Augusto Imperatore n. 30.
Con l'avvio del nuovo ristorante Alfredo Di Lelio ottenne un forte successo di pubblico e di clienti negli anni della "dolce vita". Successo che, tuttora, richiama nel ristorante un flusso continuo di turisti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose "fettuccine all'Alfredo" al doppio burro da me servite, con l'impegno di continuare nel tempo la tradizione familiare dei miei cari maestri, nonno Alfredo, mio padre Armando e mio fratello Alfredo. In particolare le fettuccine sono servite ai clienti con "2 posate d'oro"; una forchetta ed un cucchiaio d'oro regalati nel 1927 ad Alfredo dai due noti attori americani Mary Pickford e Douglas Fairbanks in segno di gratitudine per l'ospitalità.
N.d.r. : Mary Pickford è l'attrice del cinema muto a cui è stato dedicato il famoso cocktail nato a Cuba nel 1920 nel bar del National Hotel de l'Havana.

Questa storia mi ha proprio incuriosito e la prossima volta che andrò a Roma sicuramente passerò ad assaggiarle.


Ho preparato questo piatto cercando di attenermi il più possibile alla ricetta originale ma alcune cose non ho potuto non variarle.
  • La salsa di Alfredo la si può reperire pronta negli USA ma da noi non mi risulta che sia in commercio e comunque è semplice da preparare si deve avere solo pazienza.
  • Ho utilizzato la fontina come indicato nella ricetta ma dubito che il formaggio usato negli States di più facilmente un surrogato tipo Fontal
  • Non mi sono posto il problema di cercare la purea di zucca, peraltro in vendita sul web, perché ho preferito farmela io.
  • Lo stesso dicasi per il peperone che ho grigliato e pulito.
  • La cottura della pasta l'ho controllata per avere non una pasta "morbida" come da ricetta, ma al dente per cui l'ho tolta quando aveva ancora bisogno di un paio di minuti perché contavo che nel tempo di riposo la cottura sarebbe proseguita. La pasta è risultata al dente anche se per i miei gusti avrei dovuto toglierla un minutino prima.
  • Ho utilizzato il pepe nero di Tasmania che ha un profumo fantastico non macinandolo ma triturandolo al coltello per avere granelli di dimensioni diverse.
  • Alla fine si ottiene una pasta appena decente e decisamente troppo corposa. Se sommo tutti gli ingredienti esclusa l'acqua, considerando che il peso della pasta è a secco, e divido per 6 persone ottengo ca. 230 g di porzione che diventano quasi 400 g con la pasta cotta. Troppo anche per un piatto unico.
  • Ho molte perplessità sul metodo di cottura della pasta. Vero è che i vari aromi penetrano nella pasta dandogli più sapore però la cottura, un po' più lunga di quella normale, deve essere costantemente seguita e si deve mescolare di frequente come per un risotto.
Alla fine NON sono rimasto soddisfatto, mi aspettavo di meglio e se gli Yankees è così che mangiano la pasta è meglio che continuino a fare della bella carne alla griglia.
Comunque proverò a rifarla correggendo le dosi e con la cottura tradizionale.

Con questo post partecipo al Club del 27 - Febbraio 2018 - Wonder Pot per l'MTC.

Il post con il riepilogo delle ricette partecipanti lo si può trovare sul sito dell'MTC a questo link.


lunedì 26 febbraio 2018

ANGUILLA IN AGRODOLCE


Adoro l'anguilla.
Mi piace in umido con il pomodoro, mi piace alla griglia, mi piace fritta, mi piace in carpione; insomma ... mi piace.
Per lo scorso ultimo dell'anno ho voluto fare l'anguilla in agrodolce.
Non mi dispiace l'anguilla marinata che si acquista nelle gastronomie ma, personalmente, la trovo sempre con una prevalenza molto marcata sia di aceto che di limone mentre io la preferisco con un gusto più morbido.
Per questa ragione nella mia marinatura ho messo sia l'aceto bianco che il limone ma diluiti nell'acqua in modo da renderli meno aggressivi.


L'anguilla sono andato a prenderla alla Cooperativa Pescatori di Clusane di Iseo che da mesi sto tormentando per avere la tinca da fare al forno e dove vado a prendere il pesce d'acqua dolce.
Ho telefonato un paio di giorni prima e me l'hanno fatta trovare già pulita. Ho dovuto solo tagliarla a pezzi.
Al cenone è stata molto apprezzata ed è avanzato solo il pezzo della vergogna che ho finito io il giorno successivo.
Ho pertanto deciso di prepararne ancora, magari con pezzetti più piccoli, da poter mettere e conservare in vasi ermetici.




Con questa ricetta partecipo a 26 febbraio 2018 Giornata Nazionale dell'Anguilla del Calendario del Cibo Italiano by MTChallenge

giovedì 22 febbraio 2018

SOUPE À L'OIGNON - ZUPPA DI CIPOLLE



Il tema della sfida dell'MTC questo mese lo ha scelto Greta vincitrice della sfida del mese scorso e quello da lei scelto è l'affumicatura casalinga.
Ho utilizzato spesso la tecnica dell'affumicatura dei cibi, principalmente carne, pesce e verdure ma solo ed esclusivamente nel barbecue.
Tempo fa vedevo sempre su Gambero Rosso il programma Barbecue University con Steven Raichlen e spesso affermava che quello che è buono con le cotture tradizionali diventa ottimo al barbecue e se l'affumichi ancora di più. Per la mia esperienza al barbecue sono completamente d'accordo.
Quando avevo il mio vecchio barbecue della Weber mi ero comprato l'accessorio per inserire le chip di legno per ottenere il fumo. Chips che normalmente bagnavo con whisky o rum.
Per cui sono rimasto molto incuriosito dal tema proposto da Greta e, come spesso capita con l'MTC, ho scoperto un nuovo mondo. Mondo che ho iniziato ad esplorare in questa occasione ma che ho intenzione di approfondire. 
Per la scelta della ricetta da proporre ho seguito i consigli di Alessandra nel post di lancio della sfida e ho voluto fare la Soupe à l'oignon - zuppa di cipolle, ricetta che ho fatto altre volte ma che, tra l'altro, non avevo mai postato. Ero certo che l'affumicatura delle cipolle avrebbe dato una marcia in più a questo piatto.
La Soupe à l'oignon è uno dei piatti preferiti dalla Manu e sapevo che, tradizionalista com'è, nel proporle di affumicare le cipolle avrebbe storto il naso.
Infatti mi ha subito proposto di affumicare il Gruyère o di fare un brodo utilizzando del pollo affumicato.
Erano delle possibilità ma sicuramente non avrei ottenuto il risultato che mi ero prefisso per cui ho seguito quella che era la mia idea.
Bisogna però mantenere la pace in famiglia per cui oltre alla mia versione ho fatto anche quella classica per la Manu.
Questa soluzione è stata comunque utile perché ci ha permesso di fare un confronto.


Per l'affumicatura ho avuto ampia possibilità di scelta visto che la Manu ne tiene in dispensa diversi tipi.
Ho preferito fare una miscela perché desideravo avere un affumicatura che desse dei sentori degli aromi che avevo utilizzato ma senza che nessuno prevalesse sull'altro.
Oltre alla Manu e a me ha mangiato questa zuppa anche sua cugina Grazia a cui ho detto solo della differenza  sostanziale delle due proposte, una affumicata e una no, senza specificare che tè avevo utilizzato.
La Manu, anche se le sono piaciute tutte e due, ha chiaramente preferito la versione classica mentre la Grazia ed io abbiamo assolutamente preferito quella affumicata.
Ho anche chiesto a Grazie di dirmi che aromi sentiva e mi ha reso felice dicendomi che sentiva lo zenzero, limone o arancia, cannella e chiodi di garofano ma senza che fossero prevalenti l'uno sull'altro.
Obbiettivo raggiunto.


Ho adottato la tecnica del dry smoking per cui, in questo caso, ho utilizzato una pentola dai bordi alti, quella per il minestrone ad esempio, e l'ho rivestita sul fondo e per un terzo dell'altezza con un doppio strato di alluminio per non rovinare l'interno della pentola. La prossima volta ne metterò 3.
Sul fondo ho distribuito la miscela di tè e riso e ho inserito il cestello per i fritti rovesciato dove nella parte superiore ho appoggiato le cipolle.
Ho acceso il fornello, il mio è a induzione, alla massima temperatura e quando ha cominciato a levarsi un filo di fumo ho coperto la pentola e ho atteso una decina di minuti in modo che si riempisse di fumo. Quando dal coperchio ha cominciato a uscire leggermente il fumo, ho sigillato il coperchio stesso con la pellicola, ho atteso un paio di minuti quindi spento il fornello e ho lasciato riposare una ventina di minuti.
Ho aperto il coperchio e il fumo era praticamente scomparso in parte assorbito dalle cipolle.
Ho assaggiato le cipolle e si avvertiva l'affumicatura ma non era ancora come la desiderassi per cui ho tolto tutto dalla pentola e ho rifatto un'altra volta la procedura. Dopo questa seconda affumicatura ho raggiunto il grado di affumicatura che desideravo.
Ho fotografato al volo la padella con i tè ma la foto è veramente oscena per cui l'ho inserita solo a titolo dimostrativo.



Con questa ricetta partecipo al contest MTChallenge n° 70 di febbraio 2017



giovedì 8 febbraio 2018

LATTUGHE O CHIACCHERE


Le chiacchere sono dolci di Carnevale presenti in tutto il territorio italiano e a seconda delle regioni, provincie o località prendono nomi diversi. Chiacchere viene usato principalmente, ma non solo, nel centro e sud Italia mentre in altre zone vengono chiamate bugie, frappe, stracci, lasagne, garullitas e decine di altri nomi.
Nelle provincie di Brescia e Mantova si chiamano lattughe.
L'impasto è simile per tutte e la variante principale è la componente alcolica che può andare dal Marsala, sambuca, acquavite e grappa. Nelle lattughe la grappa.


Non ho una ricetta presa dalla mia famiglia perché non ricordo che mia nonna le abbia mai fatte e mia mamma men che meno visto che non ricordo un fritto fatto da lei; nemmeno le patatine.
In altri post ho richiamato l'amicizia che mi lega con Marco e Elisabetta della Pasticceria Antoniazzi di Bagnolo San Vito (MN) e per la ricetta delle lattughe mi sono attenuto a quella che è stata pubblicata il 23 gennaio 2017 nella pagina Facebook dedicata e che amministro, parola grossa, con Elisabetta. A proposito vi invito a visitarla e, se vi va, di mettere un bel "mi piace".
Ho quindi preso la sua ricetta per realizzare le mie prime lattughe.


Rispetto alla sua ricetta ho cambiato, visto che ne indica la possibilità, solo il liquore. Ho utilizzato rum invecchiato perché la Manu sta male anche se solo sente l'odore della grappa.
Ho offerto le lattughe anche ai vicini e mi hanno fatto i complimenti che giro totalmente a Marco. Io sono stato solo un mero esecutore.
L'unico appunto della Manu è che le avrebbe volute più sottili. Io ho seguito le indicazioni e ho fatto una sfoglia di un paio di mm. La prossima volta l'accontento e, qualcuna, proverò a farla come da sua richiesta.

Con questa ricetta partecipo a 8 febbraio 2018 Giornata Nazionale delle Chiacchere - Cenci - Frappe del Calendario del Cibo Italiano by MTChallenge


mercoledì 7 febbraio 2018

TARTIFLETTE


Sara del blog Pixelicious è la recipe-tionist di Gennaio - Febbraio 2018. 
Tra le sue ricette ho già fatto la torta russa al miele - Medovik ma ce ne sarebbero state diverse altre che avrei voluto fare.
Ho fatto i calamari ripieni ma non sono soddisfatto delle fotografie per cui non penso che lo posterò fino a quando non li replico.
Ho fatto anche la Tartiflette ricetta francese originaria dell'Alta Savoia. Mi ispirava molto anche perché prima di Natale ho preparato un tortino salato con il Camambert venuto benissimo e che prossimamente pubblicherò. Gli ingredienti della Tartiflette lo ricordavano molto per cui ho comprato il Reblochon e ho eseguito la ricetta rispettando dosi e procedimento indicate da Sara.
Il risultato è straordinario e vi basti solo dire che una pirofila di 6 porzioni abbondanti l'abbiamo mangiata in 3.


Ho visto che anche Lucia del blog Le ricette di Luci ha fatto anche lei questa ricetta e spero non me ne voglia se l'ho replicata anch'io.
Però è talmente buona che consiglio a tutti di provare a rifarla anche perché è davvero semplice e il risultato è veramente ottimo.


Con questa ricetta partecipo al Recipe-tionist di Gennaio - Febbraio 2018



lunedì 5 febbraio 2018

TINCA AL FORNO


Mi piace molto il pesce sia di mare che di lago.
Dei pesci d'acqua dolce la tinca è uno dei miei preferiti.
La tinca al forno è un piatto tipico di Clusane, frazione di Iseo, sull'omonimo lago, che recentemente è tutelato dalla denominazione comunale De.Co.
La terza settimana di luglio si tiene in paese la sagra della tinca al forno dove il locali propongono questa preparazione a prezzo fisso convenzionato.
La prima volta che ho mangiato questo piatto è stato circa 50 anni fa. Ricordo che una domenica mio padre ci portò al Ristorante Rosmunda a Clusane e assaggiai questa prelibatezza.
Dopo l'ho mangiata molte volte e in diversi Ristoranti ma alla fine la mia preferita, e da almeno 25 anni non la tradisco, è quella della Trattoria Al Porto. Quando la Manu ha compiuto 40 anni ho organizzato una festa a sorpresa proprio lì.


La tinca è un pesce di lago dalla carne saporita ma con molte spine e viste le abitudini alimentari può sapere un po' di fango; per questo motivo, una volta pulita, è bene risciacquarla per diversi minuti. La sua carne ha poche calorie, circa 70 ogni 100 g; chiaramente questo piatto ne ha molte di più. La sua dimensione standard è di circa 30 cm ma se ne trovano anche di più grosse.


Dall'agosto scorso avevo voglia di cimentarmi in questa ricetta. Sono andato alla Cooperativa dei pescatori del lago d'Iseo a Clusane ma, per svariati motivi che non sto ad elencare non c'era mai.
Sabato scorso ho chiamato per sapere se ci fossero e, contrariamente a quanto mi aspettavo, mi hanno detto che ne avevano 3 ma la pezzatura era grossa, intorno a 1200-1400 g.
La pezzatura ideale per questa ricetta sarebbe di circa 300-400 g destinando un pesce a persona.
Ero indeciso ma alla fine la voglia di prepararla ho prevalso.
Sono andato e le tenevano ancora vive in una vasca. Ho preso la più piccola, 50 cm per 1250 g.
Mi hanno chiesto se la volevo viva ma ho preferito di no.
Tornato a casa l'ho tolta dal sacchetto e messa in un vassoio l'ho riposta in frigorifero programmando di pulirla nel pomeriggio.
Ero al computer in cameretta quando ho sentito la Manu chiamarmi dalla cucina, le ho detto di aspettare un momento che volevo terminare il passaggio che stavo facendo quindi sono andato a vedere cosa volesse e vedo che la tinca ora è nel lavandino con dell'acqua. Mi dice che ha aperto il frigorifero perché sentiva dei rumori, la tinca è saltata fuori e lei l'ha messa nel lavandino con dell'acqua.
Le ho detto che probabilmente erano riflessi post mortem ma, guardando bene, ho visto che muoveva lentamente le branchie. Ho preso il mattarello e l'ho colpita al centro della testa. Convinti che fosse morta l'abbiamo lasciata nel lavandino con l'acqua e siamo andati a fare una volata al mercato.
Al ritorno, nonostante tutto, la tinca manifestava ancora qualche segno di vita al che ho ripetuto l'operazione con il mattarello e ho deciso di provvedere subito alla pulizia.

Alcune precisazioni:

  • La pulizia della tinca così grossa si è rivelata abbastanza complessa soprattutto per eliminare la pinna dorsale
  • La tinca era talmente grossa che non avevo una pirofila adatta a contenerla per cui ho dovuto usare una teglia da forno. La prossima volta invece di cuocerla intera la taglierò utilizzando più pirofile.
  • Nella ricetta ho riportato le dosi indicate dalle ricette dei vari locali di Clusane (tutte praticamente uguali) però, per il ripieno, ho usato 200 g di pane grattugiato e 200 g di grana padano ed è risultato lo stesso abbondante.
  • La dimensione della tinca è stata però un vantaggio nell'eliminazione delle lische che sono riuscito a togliere quasi completamente.
  • Anche per la cottura, secondo me, un ora e mezza è più che sufficiente. 

Alla fine il risultato, a detta dei miei commensali, è stato eccellente ed il sapore quello tipico di questa preparazione. Il ripieno è risultato un po' asciutto visto che una parte del condimento è stato assorbito dalla carta forno mentre con una pirofila rimane sul fondo ma, mi chiedo, visto che i sapori c'erano, sarà stato un male?



sabato 3 febbraio 2018

PANETTONE CON CREMA DI CASTAGNE (MARRONATA)


Oggi è San Biagio ed è usanza, nata nel milanese e poi diffusa in tutta Italia, mangiare l'ultimo panettone della stagione contro i malanni di stagione e il mal di gola.
Io adoro il panettone e sono un sostenitore, come il Gastronauta Davide Paolini, di quelli che lo vorrebbero a disposizione tutto l'anno.
L'amico Marco Antoniazzi, della Pasticceria Antoniazzi di Bagnolo San Vito (MN), presso il loro Caffè Borsa nel centro di Mantova, organizza delle giornate estive dedicate al panettone e vi assicuro che è buono anche se fa caldo, magari accompagnato da un buon gelato.
A Natale ho pubblicato il panettone tradizionale ma oltre a quello ne ho fatto uno utilizzando anche la crema di marroni (marronata) fatta dalla Manu.
Sono sicuro di essere estremamente oggettivo nel dire che la sua marronata è semplicemente fantastica.


Le avevo detto di pubblicare la ricetta sul suo blog ma è veramente pigra. Una volta la sua pigrizia la manifestava la domenica per cui la chiamavo Bradipus Festivus. Nel tempo, in ossequio a Darwin, è ha subito una mutazione ed è diventata semplicemente Bradipus Perennis.
A fronte di ciò dopo la ricetta del panettone, se vi interessa, c'è anche quella della sua marronata.